“Mezzo secolo rincorrendo il mondo - Nei viaggi la Vespa fu il primo amore… poi venne il resto”

“Mezzo secolo rincorrendo il mondo - Nei viaggi la Vespa fu il primo amore… poi venne il resto”
“Mezzo secolo rincorrendo il mondo - Nei viaggi la Vespa fu il primo amore… poi venne il resto”; Giorgio Càeran – ‘Youcanprint’ (2ª edizione) – 2023 – 568 pagine – formato cm 17 x 24. &&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&& &&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&

domenica 2 gennaio 2011

AMPIO  RESPIRO
Nel libro “Odore di Russia” di Fabrizio Resca, ho letto questa bellissima frase: <<Il viaggio comincia laddove il ritmo del cuore si espone al vento della paura.>>
Sempre stando sul tema dei viaggi, l’amico Sergio Stocchi la pensava così: <<Se si viaggia, si viaggia soli: viaggiare soli è il solo modo di viaggiare. Direi che l’aggettivo “solitario” è il complemento indispensabile al sostantivo “viaggiatore”. La presenza di un compagno di viaggio è un allontanamento, un impedimento a entrare, a capire, tanto maggiore quanto maggiore è l’affiatamento: perché fai conchiglia bivalve con il tuo compagno. Il viaggiatore solitario non è affatto un orso che non sta con nessuno: al contrario, la solitudine è una bandiera di disponibilità.>>
Anche Walter Bonatti è della stessa idea: <<C’è chi si accontenta di vivere il tran-tran quotidiano e chi no. Io sono fra quelli che non si realizzerebbero mai in un gruppo, nella monotonia di tutti i giorni; ho bisogno di evadere, di incontrare la solitudine... Si crede che solitudine significhi angoscia, per me non è così: è un momento positivo, prezioso, un’occasione per guardarmi dentro, giudicarmi, capirmi o almeno di tentare di farlo. La solitudine acutizza la sensibilità e amplifica le emozioni. L’angoscia si prova quando si è immersi in un mare di gente e non si riesce a dialogare.>>
Non può mancare Roberto Patrignani: <<Tranne casi isolati, quei pochi viaggi che ho fatto in compagnia sono stati problematici. C’è quello che deve fermarsi a far benzina, l’altro la pipì, il maniaco del fumo che ogni tanto vuol sostare per una sigaretta, chi ha fame presto e chi salterebbe fino a sera, lo sfortunato che fora una gomma. Insomma, si è sempre fermi, ci si perde, basta un bivio incerto per lunghe discussioni sulle mappe spiegate. O si è veramente affiatati o è meglio lasciar perdere.>>
Concordo del tutto, e completo l’argomento con un antico detto Polinesiano, che dice: <<Ha meno fame e meno sete chi naviga da solo.>>
Io sono dell’idea, inoltre, che è meglio partire senza avere le spalle protette dagli sponsor, senza dover render conto a nessuno, e senza pianificare delle rigorose tabelle di marcia; altrimenti c’è ben poco dello spirito libero, ma diventa opportunismo.
Alcune persone mi hanno chiesto informazioni su come e dove comprare i miei libri. Ebbene, sia “Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino” (il cui prezzo di copertina è di 19,80 euro) sia “La via delle Indie in Vespa” (10,33 euro) sono acquistabili presso la “LIBRERIA DELL’AUTOMOBILE”, in Corso Venezia 45 a Milano; telefono 0276006624. Entrambi si possono comprare anche on-line, cercando su www.libreriadellautomobile.it ; la cui e-mail è: negozio@libreriadellautomobile.it . C’è da tener presente che tale Libreria appartiene alla famiglia di Giorgio Nada, ossia all’editore di uno dei miei libri.
Un po’ di copie, tuttavia, le ho anch’io… e la differenza è che le do con un ottimo sconto, al quale, però, ci sono da aggiungere le spese postali: pertanto, a chi intendesse averle, io chiedo 12 euro per “Giramondo libero” e 7 euro per “La via delle Indie in Vespa” (spedizioni postali incluse), con tanto di dediche personalizzate: in pratica li vendo con lo sconto del 50%.
Per il pagamento io preferisco, e a me andrebbe benissimo, un semplice bonifico bancario (a chi lo fa on-line la commissione non costa nulla se la sua Banca è “ING”, altrimenti è di 1 euro esattamente come con il bancomat). È sconsigliabile, però, farlo allo sportello perché il costo della commissione aumenta assai. Tutto chiaro?

RECENSIONI  ON LINE
All’indomani della pubblicazione de “La via delle Indie in Vespa” ho avuto parecchie recensioni ma tutte cartacee, al punto che quelle on-line sono rare. Diversa è stata, invece, la storia di “Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino” con, stavolta, una discreta diffusione di recensioni on-line.
Adesso, qui di seguito, trascrivo (grazie al copia-incolla) tre recensioni esclusivamente on-line, iniziando dapprima con la presentazione fatta dal mio editore (Giorgio Nada Editore), con riferimento a “Giramondo libero”: <<La via delle Indie in Vespa, è il titolo di uno dei capitoli che compongono questo racconto “on the road”, scritto da Giorgio Càeran, instancabile viaggiatore e scopritore, protagonista di una serie di affascinanti viaggi affrontati “con buona esperienza e sempre vivo entusiasmo”. Una Vespa 200 Rally ha portato l’autore ad arrivare in India, passando attraverso il Kurdistan, il Pakistan, l’Afghanistan, e visitando luoghi mitici come Kahtmandu, Calcutta e Bombay. A piedi, con lo zaino in spalla e il sacco a pelo, Càeran si è poi avventurato prima nel profondo dell’Africa, faccia a faccia con il deserto, poi nell’America latina, spingendosi sino alla Terra del Fuoco. “Giramondo libero” è un appassionante diario di viaggio che consente al lettore di scoprire affascinanti luoghi, ricchi di storia e di cultura.>>

Invece, al riguardo di “La via delle Indie in Vespa”, Lorenzo Franchini ( lorenzo205@libero.it ) per conto della “LIBRERIA UNIVERSITARIA” ha scritto: <<Quello di Giorgio Càeran non è un “semplice” viaggio, ma molto di più. Fare paragoni con il più celebre Bettinelli è ingiusto e inadeguato, anche se ad accomunarli c’è qualcosa di più che la voglia di scoprire il mondo in sella ad una Vespa. Il viaggio si svolge dall’agosto del ’77 al luglio del ’78, con l’intermezzo di una sosta tecnica di sei mesi a Rezaiyeh, in Iran, lavorando per un’impresa italiana di carpenteria allo scopo di raggranellare denaro sufficiente a riparare la Vespa e continuare il suo viaggio. Anche in quegli anni non dev’essere stato facile viaggiare in quei territori, ma almeno non c’era da fare i conti con terroristi e integralisti religiosi. La Vespa di Càeran è il sogno di ogni vespista, una Rally 200 che prima di portarlo sulle strade dell’Asia lo aveva condotto fino a Capo Nord, e anche quest’avventura è raccontata nel suo libro. Un diario di viaggio compilato diligentemente giorno per giorno, con precise tabelle chilometriche suddivise tappa per tappa. Un viaggio avventuroso di 23.000 km svolto nell’arco di poco meno di un anno, con 59 giorni effettivi di cammino. Càeran fornisce anche tutti i dettagli tecnici, con diverse foto che illustrano come ha attrezzato la sua Vespa. Un libro che si legge molto volentieri, con la curiosità di conoscere le avventure dell’autore. Molto bella la foto di copertina.>>

Dopodiché cito altre due recensioni, entrambe del secondo libro, cominciando da https://www.lafeltrinelli.it/ : <<La via delle Indie in Vespa, è il titolo di uno dei capitoli che compongono questo racconto “on the road”, scritto da Giorgio Càeran, instancabile viaggiatore e scopritore, protagonista di una serie di affascinanti viaggi affrontati “con buona esperienza e sempre vivo entusiasmo”. Una Vespa 200 Rally ha portato l’autore a giungere in India, passando attraverso il Kurdistan, il Pakistan, l’Afghanistan e visitando luoghi mitici come Kathmandu, Calcutta e Bombay. A piedi, con lo zaino in spalla e il sacco a pelo, Càeran si è poi avventurato prima nel profondo dell’Africa, faccia a faccia con il deserto, poi in America Latina, spingendosi sino alla Terra del Fuoco. “Giramondo libero” è un appassionante diario di viaggio che consente al lettore di scoprire affascinanti luoghi, ricchi di storia e di cultura.>>

E per finire, sempre riferendosi a quest’ultimo libro, Marco Simonelli, il 10 aprile 2008 su http://www.motocorse.com/ ha scritto: <<Il libro “Giramondo libero” di Giorgio Càeran si divide in due parti: la prima dedicata al viaggio che l’autore ha compiuto in Vespa dall’Italia attraverso l’Asia fino in India; la seconda contiene una serie di viaggi compiuti da Càeran sui più svariati mezzi ma non sulle tanto care (a noi) due ruote. Il libro è imperniato sullo spirito di scoperta e libertà che pervade l’autore che si definisce viaggiatore e non semplice turista. Giorgio Càeran infatti per la propria voglia di viaggiare, scoprire e conoscere arriva a rinunciare ad un posto di lavoro fisso e anzi ad attribuire ad esso una importanza molto relativa. È un punto di vista interessante quello dell’autore che fa del viaggio la propria ragion d’essere dato che tale esperienza lo migliora, lo arricchisce e lo completa. La prima parte del libro forse è la più interessante (quella del viaggio in India) dato che Càeran affronta davvero un’impresa eccezionale senza sponsor e a bordo di una Vespa 200 Rally opportunamente modificata per un simile raid. L’autore descrive nei minimi particolari ogni singola tappa del lungo viaggio, i vari costumi delle popolazioni locali, le proprie disavventure, l’incontro con i connazionali italiani sempre pronti ad aiutarlo trovandosi essi in terra straniera. Quello che colpisce è l’assenza della dimensione tempo, che tanto condiziona il mondo occidentale, e che in questo libro non esiste: ad esempio l’autore parte il 21 agosto 1977 e rientra il 20 luglio 1978 percorrendo 23.084 Km in Vespa! Semplicemente Càeran non si dà tappe anche se minuziosamente riportate nel libro: mangia quando può, si riposa quando è stanco dove può,  ripara la moto quando occorre, seguendo i ritmi vitali suoi e della Vespa. Il libro scorre velocemente ma a volte l’autore si sofferma troppo su alcuni particolari secondari e infarcisce il racconto di giudizi personali sul mondo occidentale, sulla religione, sulle proprie regole morali che a volte infastidiscono, a prescindere dalle idee del lettore, per la rottura del ritmo narrativo. Càeran nei suoi commenti arriva a dire che della propria Vespa poco gli importava, non sa nemmeno dove sia oggi, perché egli è soprattutto un viaggiatore e quindi poco interessato al mezzo con cui si muove. Orrore!!! Io una Vespa che mi ha portato in India la custodirei gelosamente nel box anche perché ad essa ho affidato la pellaccia e i ricordi che con essa avrei vissuto sarebbero oggi più vivi, più presenti. Interessanti sono invece alcuni consigli che l’autore offre sui comportamenti da tenere all’estero, il rispetto dei costumi locali o delle abitudini alimentari, oppure le malizie per difendersi da scippatori e gente poco onesta. Un buon libro quindi, scritto col cuore ma forse un po’ troppo “sognatore” anche se ogni tanto confrontarsi con altri modi di pensare la vita serve a farci riflettere e a dare la giusta importanza al lavoro o ai soldi. Indicato più ai viaggiatori incalliti che ai motociclisti duri e puri.>>

UNA FAVOLA, CHE SA DI SPERANZA
Adesso ho pronto un altro libro, non più di viaggi, anche questo impaginato da me stesso (intitolato “Sulla via di Pompacarini, tra logica e magia”): avrà 272 pagine per un formato di cm 17x24. Nella copertina di quest’ultimo libro il disegno (e altri 15 all’interno) l’ha fatto mia figlia Chiara nel 2007, quando lei aveva undici anni. Il volume, però, io non l’ho ancora pubblicato perché devo trovare o chi me lo fa. C’è da tener presente che nell’editoria si diffida sempre ogniqualvolta si ricevono proposte complete, ossia libri già del tutto impaginati, pronti per andare in stampa (come nel mio caso). C’è stata l’eccezione in occasione del mio secondo libro, quando “Giorgio Nada Editore” accettò l’impaginato, ma a una sola condizione: il rifacimento della copertina. Adesso è diverso, e per pubblicare quest’altro volume, che non tratta più di viaggi, si riscontrano grosse difficoltà nel proporre un’opera già bella confezionata e, infatti, non è neanche letta a priori. “Giramondo libero” non mi è costato niente, perché – fortunatamente – mi è stato pubblicato. Io di solito, però, faccio fatica a trovare un editore per il semplice fatto che nessuno gradisce pubblicare libri già ingabbiati. E i libri che io faccio, purtroppo, sono tutti così… o quasi.
A ogni buon conto nel caso di “Pompacarini” non mi occorrono tanti soldi, bensì una cifra alla portata di un piccolo sponsor. Anche se, in tutta sincerità, ci conto poco. E lo dico con una certa rassegnazione.

26 commenti:

  1. Sono situazioni incredibili e inusuali, che io, tra l'altro, ho letto in "Giramondo libero". Ho letto entrambi i tuoi volumi ("La via delle Indie in Vespa" e, per l’appunto, "Giramondo libero - In viaggio con la Vespa o con lo zaino"). Devo dire che, fra i due, io preferisco nettamente quest'ultimo libro. Con ammirazione, un tuo nuovo amico: Giorgio, sei forte!

    RispondiElimina
  2. Giorgio, ho una domanda da farti: “Se, all’epoca di quando girovagavi – in perfetta solitudine – nei vari continenti, ci fosse stata l’attuale situazione politica internazionale (cioè quella dopo l’11 settembre 2001), cosa avresti fatto?” Dico ciò, con una premessa: io preferisco i tuoi viaggi, anziché quelli sponsorizzati di Giorgio Bettinelli… il quale, se non avesse avuto gli aiuti esterni (economici e organizzativi), non so se fosse stato in grado di fare granché.

    RispondiElimina
  3. Epo, rispondo a te. Tu, e non sei l’unico, sostieni che sono cambiati gli anni per viaggiare alla stessa maniera che ho fatto io. In pratica mi chiedi (unendoti a tanti altri che mi pongono, in modo ancor più diretto, la stessa domanda) se, all’epoca di quando mi muovevo su vasta scala, ci fosse stata l’attuale situazione politica internazionale (ossia quella dopo l’11 settembre 2001) cosa io avrei fatto. Ebbene sì, avrei viaggiato in ogni caso cambiando, però, qualche itinerario. A questo proposito t’informo che quando entrai in Turchia (1977) c’era una situazione politica-militare allarmante, a causa della “protesta” Curda contro il governo di Ankara. Prima di partire ricordo che c’erano disordini nell’est del Paese (ossia il Kurdistan, proprio dove dovevo transitare io) e furono uccisi alcuni turisti occidentali, tant’è vero che tutti i miei conoscenti mi sconsigliavano di partire. Io, un po’ seccato, rispondevo sempre che il fatto di viaggiare soli poteva rivelarsi un vantaggio… non rappresentando alcuna minaccia per chiunque. Per non parlare poi della zona attorno al famoso Khyber Pass, lontano ventidue chilometri dal confine afghano, dove vivevano i ribelli e indomabili Pathans che nessun governo non poteva mai comandare. Era raccomandabile giungere a Peshawar senza fermarsi, perché era assai pericolosa qualsiasi sosta. Del resto, in entrambi i miei libri narro del brutto incontro che ho avuto su quella strada… e poteva costarmi molto cara.
In Sud America, poi, (soprattutto in Perù e in Bolivia) era consigliabile non sbandierare indirizzi di preti che operavano sulle Ande o nella selva, perché considerati sovversivi… e i militari potevano benissimo sbattere in galera ogni “presunto loro amico”. Nessun problema, invece, se si manifestavano “amicizie” di vescovi o cardinali… perché quest’ultimi erano amici anche dei militari.
In Africa, infine, c’erano grossi rischi: basti pensare che nel 1983, appena un anno prima che io giungessi, c’era stata una guerra civile (l’ennesima) nell’Alto Volta, dopodiché, al termine di quella “rivoluzione” lì si cambiò il nome in Burkina Faso, che, come già sai, in un dialetto antico significa “Paese degli uomini degni”. E potrei continuare ancora con l’elenco, perché mio caro Epo non c’è stata mai e né mai ci sarà una situazione ottima ovunque. Si migliora da una parte, ma si peggiora dall’altra… e viceversa. A questo punto ci sono solo due strade: rinunciare ad andare in certi posti, oppure – forse con un po’ d’incoscienza – tentare. Con ciò, sia ben chiaro, bisogna distinguere i vari gradi di rischio perché sarebbe da stupidi andare a cacciarsi in guai molto seri. Rischiare sì, ma senza esagerare.

    RispondiElimina
  4. Lo scorso ottobre, a San Benedetto del Tronto, casualmente trovai “Giramondo libero”, attratto soprattutto dallo sconto del 35%: lo pagai 12,87 euro. Adesso l’ho appena finito di leggere e mi affretto a esprimere la mia opinione, che è positiva. Certo, a ben vedere c’è qualche piccola imprecisione, però nel complesso il tutto è molto gradevole. Non ho letto “La via delle Indie in Vespa”, e non penso che lo leggerò, considerando che l’altro libro include anche questo. Al di là della pubblicazione e dal fatto che hai impaginato tu stesso il volume, devo dirti Giorgio che sei proprio in gamba. Sei una persona attiva che non si piange addosso e non si fa abbattere dalle avversità, ma che le tue paure le tieni a bada pur non negandole. Dopodiché si può dissentire o meno sulla critica che ti ha fatto ‘Motocorse’ al riguardo delle tue frequenti opinioni espresse qua e là, e che possono ‘disturbare’ la lettura. Boh; può darsi che sia così, tuttavia a me queste parentesi non mi hanno infastidito. Dimostrano, tuttalpiù, la coerenza con il titolo, ossia “giramondo libero, in tutti i sensi” (libero anche dagli obblighi verso gli sponsor… che tu non hai mai avuto). La critica più grossa che mi sento di fare su questo libro (e che, probabilmente, è una decisione dell’editore e non tua), è il prezzo: in effetti 19,80 euro sono tanti e, in tutta sincerità, se non avessi avuto lo sconto ben difficilmente l’avrei comprato. E sarebbe stato un vero peccato. Infine, ti auguro di riuscire a trovare il piccolo sponsor che ti manca (cosa sono in fin dei conti 3.000 euro?), e poter essere così stampato il tuo 3° libro che dici di aver già impaginato. In bocca a lupo!

    RispondiElimina
  5. Bello il Blog che hai fatto e grazie per aver citato un pensiero tratto dal mio libro 'Odore di Russia' (edito da “Il Megalito di Tosi”); quella è una frase tratta da una mia poesia che feci incidere su un orologio russo quasi trent'anni fa e per la quale, ricordo bene, l'incisore ebbe da ridire poiché asseriva che non si può incidere una frase 'che non vuol dire un cazzo'... pensa un po'...
    Fabrizio Resca

    RispondiElimina
  6. Caro Fabrizio di Bondeno (Ferrara), ho gradito sia il tuo commento e sia il fatto che mi hai avvisato con una e-mail. Sono io che devo ringraziare te, innanzitutto per avermi spedito “Odore di Russia - Viaggi nell’ex impero sovietico” (Il Megalito di Tosi): per chi non lo conoscesse dico che è composto da 240 pagine, e ha un formato cm 10,5 x 18. Il 4 ottobre scorso, appena ricevuto, l’ho letto subito e mi è piaciuto. La tua frase che ho citato l’ho trovata stupenda, e tu hai fatto benissimo a descriverne i retroscena… con tanto di orologiaio grezzo. Peccato che tu non voglia avere a che fare con Facebook (e quindi non rispondi alle “richieste di amicizia”; del resto è dall’aprile scorso – proprio da quando lì mi ero iscritto io! – che ti sei fermato a 12 “amicizie”). A ogni buon conto, se tu guardi su le mie “Note”, e precisamente dove c’è “UN LIBRO CHIUSO È SOLO UN BLOCCO DI CARTA”, vedi un elenco lunghissimo di libri da me letti con assegnato a ciascuno un punteggio da 0 a 10, secondo le mie preferenze. Ebbene, al tuo libro ho dato un voto alto ma non per gratitudine o chissà cosa; semplicemente perché l’ho trovato molto interessante e ben fatto. Adesso aspetto l’altro tuo libro che mi spedirai domani: cioè la seconda edizione di “Pensieri on the Road (again) – Aforismi e citazioni in viaggio”, pubblicato dalla Este Edition. Tu, fra l’altro, anni fa mi comprasti “La via delle Indie in Vespa” e hai anche “Giramondo libero”: ci scambiamo a vicenda i nostri libri. Ciao Fabrizio Resta, il poeta che guarda la gente, e… alla prossima occasione.
    Adesso, sbrigandomela con due righe, rispondo anche a Ugo Deicolli dandogli ragione sul costo eccessivo del mio libro: io ero in disaccordo, ma non spettava me a decidere. Da sempre io sono favorevole ai libri scontati, di qualsiasi genere, figuriamoci se non lo sono per i miei. Riguardo invece al trovare un piccolo sponsor per il prossimo mio libro, non so cosa succederà… certo che la crisi economica non mi è favorevole. Aspetto.

    RispondiElimina
  7. Fabrizio, oggi ho ricevuto la tua busta: attendevo un libro, invece ne ho trovati due. Oltre a “Pensieri on the road” che aspettavo, c’è – questo inaspettato – un altro tuo libro: “Il volo del gabbiano azzurro – Storia di un padre inventato” (Edizioni Siaca). Ti ringrazio e vorrei in qualche modo ricambiare. Vorrà dire che, se riuscirò a far pubblicare “Sulla via di Pompacarini, tra logica e magia” (sponsor permettendo), ti spedirò una copia. Grazie.
    Ah, una cosa: nel risvolto di copertina di uno dei due libri, c’è la tua presentazione nella quale leggo che hai collaborato con alcune riviste, una delle quali è “Moto Sprint”. Pensa che lì, l’8 novembre 1984 (numero 45), su quelle pagine c’è stata la recensione del mio primo libro.

    RispondiElimina
  8. Giovanni afferma che “Giramondo libero” è più bello di “La via delle Indie in Vespa”, ed io condivido sostenendo che, sicuramente, i ventitré anni di distanza tra la pubblicazione dei due libri… beh, si sentono eccome. Nel secondo, compresa anche la prima parte che riprende, in pratica, il libro precedente, si nota subito che è più curato e più attento ai dettagli. Nel secondo libro si avverte, insomma, che c’è meno pathos, meno emotività, guadagnandone in concretezza. Inoltre sono pienamente d’accordo anche su quanto detto da Ugo Deicolli, che ha fatto un’analisi molto azzeccata, e che io evito di ripetere. Giorgio, permettimi comunque un consiglio: sono d’accordo sui 16 euro che chiedi per “Giramondo libero”, tenendo conto che ci sono incluse le spese di spedizione non per niente economiche, ma sono in disaccordo sui 9,50 euro per l’altro libro. Io “La via delle Indie in Vespa” lo venderei a 8 euro anche perché non è recente, ma la sua pubblicazione risale al 1983 (maggio?). So che potresti dire di farmi gli affari miei, ma credo che un buon consiglio disinteressato fatto da gente che ti ammira possa farti piacere. Sbaglio?
    Un saluto da Vladimiro Guido Razzino

    RispondiElimina
  9. Sulla mia bacheca di Facebook, ho letto questo: “Ti ho lasciato un messaggio sul tuo Blog... quando vuoi puoi leggerlo. Ciao” È scritto da Vladimiro Guido Razzino. Di conseguenza, mi sono affrettato a vedere il commento per (eventualmente) poter subito rispondere.
    Vladimiro, intanto ti confermo che entrambi i libri sono stati pubblicati a maggio: nel 1983 il primo e nel 2006 il secondo. Ti ringrazio poi per l’analisi attenta e per il consiglio su quanto sia ragionevole chiedere per “La via delle Indie in Vespa”. Non sbagli e ci stavo già riflettendo di abbassare le mie pretese, ma ero indeciso fino a che punto calare l’asticella. Tu mi suggerisci 8 euro e lo potrei accettare, tieni però conto che tra busta e spedizione occorrono dai 5,70 ai 7 euro, ma non è un problema e va bene così. Va detto, però, che se ricevo i pagamenti tramite “Paypal” mi costa 1 euro il trasporto dell’incasso verso il mio conto corrente bancario. Pertanto, CONFERMO CHE “LA VIA DELLE INDIE IN VESPA” LO VENDO A 8 EURO, SPESE INCLUSE, fermo restando che in caso di Paypal, il costo diventa 9 euro. IN EFFETTI, FACCIO PRESENTE CHE, OLTRE AL BONIFICO O ALL’ASSEGNO SPEDITO IN UNA BUSTA, È BENE ACCETTO ANCHE IL PAGAMENTO CON LA “PAYPAL”. Riguardo alla Paypal, ringrazio il londinese Matthew che, a causa della sua (fino a ieri a me sconosciuta) proposta di pagamento per la richiesta di un mio libro, sono riuscito a conoscerla proprio in questi giorni e spero di apprezzarla anche in futuro. Se dovesse funzionare, là dove sarà possibile potrei usarla in sostituzione del tradizionale bonifico bancario.
    Adesso ne approfitto per dire che questo mio Blog non lo apro spesso e la cosa strana è che solo in questi giorni lo vedo più del solito. Forse perché sto valutando delle eventuali modifiche, ma che non so se poi le attuerò oppure no. Combinazione vuole che in questo periodo c’è un po’ di “corrispondenza”… inusuale. Poi magari calerà il silenzio per lungo tempo, chi lo sa? Una curiosità: ho constatato che l’orario qui registrato non è quello italiano, bensì della California (9 ore in meno)... dove, in concreto, ha sede BLOGGER GOOGLE.

    RispondiElimina
  10. Giorgio, sono d’accordo con Epo Fumagalli, che preferisce i tuoi viaggi anziché quelli sponsorizzati (e quindi molto più facili) del famoso Giorgio Bettinelli. Dico ciò nonostante che Bettinelli è morto da quasi due anni e mezzo. Un’ultima cosa: Giorgio, come pensi (e a chi ti rivolgi) per convincere uno Sponsor a finanziare il tuo prossimo libro? Sei un grande... ciao, Tiziano Cranela.

    RispondiElimina
  11. Tiziano, non sono grande, sono alto appena 171 centimetri; è questione di misure. Riguardo a Bettinelli (pace all’anima sua), scusa ma per me diventa tedioso ripetere le stesse cose come risposta a un paragone che, non so come mai, mi è fatto sovente. In considerazione di ciò, nella parte finale di questo Blog do una risposta sia a te e sia a coloro che intendessero in futuro formularmi lo stesso accostamento. Non ho più intenzione di pronunciarmi ancora su questo argomento, perché ho già fatto capire come la penso.
    Sul fatto d’individuare uno Sponsor “giusto” per finanziare la stampa del libro, beh francamente non so a chi rivolgermi… considerato il bruttissimo periodo che stiamo vivendo: di soldi ne girano veramente pochi e scappano subito. Tuttavia, potrebbe andare bene come finanziatore chi ha un’attività a contatto con un pubblico vario, al quale proporre il libro (scontato), in modo da poter recuperare in fretta i soldi versati… e possibilmente guadagnarci con la vendita delle 400 copie che riceverà. È sottinteso che i costi di “Registro Imprese alla Camera di Commercio di Milano”, indispensabili per la vendita del libro, sono a mio carico: del resto la spesa è già coperta, all’interno dei 3.000 euro richiesti. Sono stato esauriente? Una cordiale stretta di mano e tanti auguri.

    RispondiElimina
  12. Scrutando i posti dove sei stato, noto che preferisci le nazioni povere. Non t’interessa andare, per esempio, negli U.S.A.? Mi puoi spiegare qual è il motivo di questa scelta, e cosa pensi di chi va solo nei luoghi super turistici? Ciao, Giancarlo Andrea Pini.

    RispondiElimina
  13. Andrea mi viene da sorridere, perché negli U.S.A. vive (dal 1947!) mia zia suora, dell’ordine degli Scalabrini. Lei, Pierina Caeran – che il 27 febbraio compirà 86 anni –, è la sorella minore di mio padre e sta nell’Illinois, nei pressi di Chicago: m’invita ripetutamente di andare a trovarla, anche perché sono almeno tre decenni che non ci vediamo (meno male che adesso comunichiamo tramite Facebook!). C’è mia figlia che accetterebbe subito l’invito, io invece aspetto, almeno per ora. Non perché sono ateo – e quindi intenda stare alla larga da tutto ciò che è religioso –, ma semplicemente perché sono attratto soprattutto dai Paesi poveri che sono ricchi di colori, di cose essenziali, di forti emozioni, tradizioni, odori, musica, animosità, contrasti, mercati immensi… che altrove ci sono lo stesso, ma in tono decisamente minore. Sono sensazioni, però, che si assorbono soltanto vivendo a tu per tu con i nativi e ci vuole tempo… che il solito breve periodo di ferie non concede. Nei Paesi ricchi (e anche in quelli meno abbienti, ma fortemente turistici) occorre meno tempo per adeguarsi, non così succede in quelli poveri (non turistici). A questo proposito penso a un giovane, che abita due piani sotto di me: poco dopo l’Epifania lo incontrai che rincasava con due trolley marchiati con i simboli di una compagnia aerea, e gli chiesi da dove venisse. Mi rispose di essere stato due settimane in India… ma non ci sarebbe stato un solo giorno in più. Mi veniva voglia di rispondergli che, forse, per lui sarebbe stato meglio Ibiza, Sharm El Sheikh o Santo Domingo… ma mi sono trattenuto. Chissà cosa racconterà di quella vacanza (ovviamente ben fotografata): la miseria, le puzze, l’ignoranza e via discorrendo; tutte cose che sapeva già prima di partire. Io sono il suo opposto: per sole due settimane non parto per l’India, mi ci vuole almeno il doppio del tempo per calarmi in quella realtà (a volte sorprendentemente positiva). Ma non siamo tutti uguali. Il mio è un viaggiare con il gusto della curiosità e della scoperta, pieno di contatti spontanei e non accademici, con la possibilità di fare un confronto fra il proprio modo di vivere, che spesso siamo portati a ritenere l’unico possibile, e quello degli altri. È una lotta ai pregiudizi, è un mettere in discussione se stessi e la propria cultura (compresa quella religiosa), è una forma di disponibilità e d’apertura verso altre culture. È un accorgersi che viaggiare da soli può essere notevolmente più bello che stare assieme a compagni che mal si addicono, a volte, al proprio bisogno assoluto di libertà. È, infine, un constatare che è possibile (e non soltanto un sogno) fare viaggi della durata di sette o undici mesi, anche senza aver vinto la lotteria. Viaggiando non ci si deve accontentare di poco, quando invece si può avere molto in fatto d’emozioni e di conoscenze, che rimarranno dentro di noi e che nessuno potrà mai comprendere fino in fondo. Si viaggia per se stessi e non certo per avere il plauso delle persone sedentarie, che considerano i viaggiatori come gente strampalata. A volte mi domando se i tipi cosiddetti “normali” siano quelli come me, oppure gli altri… chissà! L’amore per i viaggi ha un prezzo che si paga con tanti sacrifici (licenziamenti, permessi non retribuiti, separazione sia pure momentanea dalle persone alle quali si vuole bene, rischi di ogni genere, incertezza per ciò che accadrà al ritorno a casa… tutte cose che gli “altri” non sono in grado di comprendere né di provare; oppure, se le comprendono, non hanno il coraggio di affrontarle). Il ritorno a casa al termine d’ogni viaggio costituisce sempre la fine di un sogno agitato, emozionante e irripetibile.

    RispondiElimina
  14. Non pensi che, oggigiorno, ci sia troppa gente che viaggi all’avventura, in cerca soprattutto dei riflettori mediatici? Includo in questo gruppo anche i raidmen motociclisti, che spendono cifre esorbitanti per una vacanza: così, che avventura è? I tuoi viaggi sono stati molto costosi?
    Infine, ho letto e visto anche i disegni relativi al libro su Pompacarini, penso che sia interessante: ti auguro di cuore che la pubblicazione vada in porto, con un editore oppure con uno sponsor.
    Un abbraccio da Aldebaran Amina Zamatto, e sappi, caro Giorgio, che io sono orgogliosa di essere ebrea e di avere il doppio nome di origine araba.

    RispondiElimina
  15. Non ho mai speso folli somme per i miei viaggi, anche perché ho evitato di andare dove la vita è cara. Si sostiene che per fare un raid motociclistico extra europeo occorra una forte somma di denaro, ma non sono d’accordo: si può spendere pochissimo, oppure tantissimo, è questione di scelta, a seconda delle esigenze personali. Se ci si adatta a dormire all’addiaccio e a mangiare nelle bettole (cose da me sperimentate in moltissime occasioni), la cifra può abbassarsi notevolmente. Saper viaggiare in economia è un’astuzia che si apprende con il tempo. Un viaggio motociclistico non è un tentativo di afferrare la luna dal pozzo, ma è alla portata di tutti. Non ho cercato di coprire velocemente più chilometri possibili, ma badando soprattutto a vivere un’esperienza appassionante. È necessario solamente non dimenticare mai che nessun viaggio del genere va fatto alla leggera. Oramai non è più possibile definire un raid “eccezionale”, quindi considero i miei viaggi esperienze che mi hanno dato molto, che mi sono state assai utili e nient’altro. Ho potuto constatare che quelle prove così difficili sono servite a migliorare un po’ il mio carattere, a rafforzarmi, a farmi formulare poi, a posteriori, un giudizio più riconciliato con la vita.
    Quando si hanno pochi giorni a disposizione si rischia di fare gli ingordi, correndo come matti nevrotici, schiavi della superficialità prodotta dal consumismo occidentale. In questi casi ci si muove pure all’avventura, però con i portafogli grossi così, senza di cui non ci si sposterebbe di un metro. Ho l’impressione che oggigiorno si viaggi (mi riferisco a tanti ruspanti connazionali) più per “dovere” e per vanteria, che per avere contatti con i nativi. E per contatti intendo quelli con la gente comune del luogo, e non certo con gli albergatori, gli agenti di viaggio, le guide odiosamente saputelle, eccetera... eccetera... L’impareggiabile viaggiatrice Ella Maillart, a proposito del suo avventuroso viaggio da Pechino al Kashmir del 1935, scrisse: “Un viaggio in cui non succede nulla, ma questo nulla mi riempirà tutta la vita”. È una frase che vorrei fare mia, perché in essa racchiude il concetto relativo a questo tipo di viaggi. Ecco, l’importante è camminare a occhi aperti, guardando tutto quello che c’è da guardare, ma anche recependo gli usi e i costumi locali, tentando di capire lo spirito della gente avvicinata durante il lungo interminabile andare: bastano infatti una candela e una stuoia su un pavimento qualsiasi per trovare la tranquillità interiore, eliminando nello stesso tempo ogni forma di nevrosi.
    Prima di concludere, permettimi un accenno (non per te, è ovvio, ma per chi non lo sa) riferito ai tuoi due bei nomi, assai inusuali nel mondo femminile occidentale perché entrambi sono di origine araba. Aldebaran è la stella più brillante della costellazione del Toro; il suo nome deriva da al-Dabarān, “l’inseguitore”, riferendosi al modo in cui la stella sembra seguire l’ammasso delle Pleiadi nel loro moto notturno. Amina invece significa “moglie fedele” (o “la fidata”): è un nome diffuso nel mondo arabo, ed era quello della madre del profeta Maometto. In ogni modo, trovo bellissima la tua dichiarazione di orgoglio: ne hai tutte le ragioni.
    Grazie per l’incoraggiamento su “Pompacarini”.

    RispondiElimina
  16. Grazie Giorgio, è proprio quello che volevo sentirmi dire. Hai fatto un quadro ben raffigurato di ciò che – dovrebbe – essere il viaggio. Anch’io la penso esattamente così. A me, per esempio, non piace chi non si muove da casa se non ha i vari e sofisticati collegamenti satellitari: che senso ha tutto ciò? A queste persone direi: “Ma vai, e non pensare a ciò che lasci...”. E’ proprio bella la frase di Ella Maillart, che hai citato: vorrei pure io farla mia.
    Mi ha soddisfatto anche il tuo commento riferito ai miei nomi, di origine araba: ti ringrazio. Un affettuoso saluto da Aldebaran Amina Zamatto.

    RispondiElimina
  17. Hai viaggiato parecchio: qual è il luogo che più ti ha colpito... e perché? C’è un’altra cosa da chiederti; ho visto che in fondo al Blog hai inserito dei disegni fatti con il “Macintosh-Apple” da tua moglie, che – come dici – è una grafica editoriale: se le chiedessi di farmi una brochure, la farebbe? Ovviamente pagherò il dovuto. So che, volendo, potrei creare una brochure gratis con Word… ma non mi piace perché è troppo standard e io ne vorrei invece una più personalizzata (e più bella). Abito vicino a Milano, lo dico nel caso che dovessimo incontrarci. Ciao, Indira Volpi

    RispondiElimina
  18. Non è facile rispondere alla prima domanda, perché dipende sempre dal momento in cui si sta in un posto. Il passato tende a influire di più, forse perché è associato alla propria gioventù… che se n’è andata. Un grosso errore sarebbe, però, giudicare il passato con gli occhi del presente. Tuttavia, cercando di spazzare via ogni preconcetto (ma senza dimenticarmi lo stato emotivo del momento), ho un tuffo nel cuore ripensando a Kathmandu e al Nepal in generale, all’India, ad Agadez (Niger), a Mopti (Mali), al glaciar Perito Moreno (nella Patagonia argentina), alle cascate di Iguaçu, a Korhogo (Costa d’Avorio), al Sahara, l’Afghanistan (nel 1978), Belo sur Mer (Madagascar), Cusco (Perù), Copacabana (Bolivia), Ouro Prêto (Brasile), l’estuario de Reloncavì (Cile), Potosì (Bolivia), Hakkâri e il Kurdistan turco, il Rio Ucayali (Perù), Ayourou (sul fiume Niger), Cochabamba (Bolivia), Ghardaia (Algeria), Puerto Montt (Cile), isola di Gorèe (Senegal), Fès (Marocco), isola Taquile (Perù), Machu-Picchu (Perù), Torres del Paine (Cile), Valle della Luna (Bolivia), Valparaiso (Cile), ecc… L’elenco è interminabile, talmente è lungo.
    Per parlare di un viaggio, è importante far capire in quale situazione è collocato il racconto, e in che periodo preciso è stato intrapreso. Non va dimenticato, quando si legge qualsiasi resoconto di viaggio, l’epoca della visita in questa o in quella nazione perché ciò che appare in un determinato momento è molto facile che non sia più uguale in un’altra data. Il momento raccontato è un attimo che si vive solo nel tempo presente, e non è per nulla scontato che rimanga invariabile negli anni. Va colto, prima che sfumi... Agadez, per esempio, oggi è completamente diversa dall’epoca che la visitai io: adesso è un delirio, che invita ad andarsene via da lì in fretta!
    Detto in sintesi, io sono del parere che l’India affascina per le sue millenarie tradizioni e le varie civiltà; l’Africa, invece, pur essendo molto più scarsa di opere d’arte e di città accattivanti, colpisce il viaggiatore per i suoi immensi spazi e per la sua natura non imbrigliata. Spazi incommensurabili ci sono anche in Patagonia, ma con paesaggi del tutto diversi da quelli africani che sono unici. Si tratta di due dimensioni irreali per noi europei, non essendo abituati a muoverci in distese che sembrano infinite, fatte di nulla. In quelle terre si capisce quanto siano diversi il mondo europeo da quello della Patagonia e dell’Africa, nel loro rapporto con la natura e con lo spazio, e mi sorprendevo a contemplare con piacere il muoversi in quest’ampiezza senza vincoli soffocanti. È bello viaggiare in questa maniera, circondati dal vuoto (in Patagonia) o da colori e forti (in Africa).
    Io ho fatto viaggi spartani e all’avventura, ma un’avventura semplice e a dimensione umana, in cui non è stato necessario trasformarsi nei Rambo della situazione. Le mie non sono state avventure con la “A” maiuscola, bensì si è trattato di viaggi non difficili, simili a tanti altri vissuti dai viaggiatori di strada. Ho voluto scuotermi dal torpore, per armarmi di passaporto e partire verso luoghi lontani e tanto diversi dai nostri. Nei miei scritti parlo di una maniera di viaggiare senza preoccuparsi troppo delle difficoltà di una lingua sconosciuta, dormendo dove capita... spesse volte ai bordi di strade malridotte e impraticabili. Don Lorenzo Milani affermava che è meglio parlare tante lingue male che una sola bene, e aveva ragione perché così si ha più possibilità di dialogare con i nativi incontrati nei luoghi più sperduti della Terra, laddove c’è un alto tasso di analfabetismo e una deprimente inferiorità economica; in posti dove la conoscenza di una lingua internazionale di certo è un lusso che non ci si può permettere.

    RispondiElimina
  19. Indira, mi rivolgo ancora a te: tenendo conto che, in questo spazio riservato ai commenti, non si possono scrivere testi superiori ai 4096 caratteri, provvedo a completare il discorso. Non al riguardo dei luoghi più belli visti, bensì alla tua richiesta finale. Per la brochure non ci sono assolutamente problemi da parte di mia moglie. Indira, inviami tutti i dati da inserire (all’indirizzo e-mail “ moreschi.caeran@alice.it “), dopodiché io girerò la questione a Marika: è lei la professionista, mentre io non so neppure da che parte iniziare. Mia moglie t’invierà alcune bozze e tu sceglierai la più idonea. Aspetto tue notizie.

    RispondiElimina
  20. Facendo innanzitutto i complimenti per i tuoi viaggi e i due libri a essi collegati, mi soffermo sulla ‘domanda-risposta’ avanzata da Indira Volpi. Ecco, m’incuriosisce la professione di tua moglie: come grafica editoriale, dove lavora? In proprio, presso una Casa Editrice, o in un piccolo Studio grafico? Di lavoro ce n’è? Sai, con la crisi che persiste… penso che non sia facile per chiunque.

    RispondiElimina
  21. Dario, la domanda non va fatta con il tempo presente ma va cambiato il verbo. Fino a un anno fa mia moglie lavorava in una Casa Editrice: ora non più, e spiego il perché in due risposte… visto che lo “sfogo” non riesce a stare dentro il limite di spazio consentito. È tuttavia imbarazzante, da parte mia, affrontare l’argomento che segue… ma va fatto, perché ritengo giusto che si sappia. Del resto per quarant’anni e più ho sempre difeso e amato la “CGIL”, ma adesso dico BASTA. Marika è stata licenziata in tronco il 12 febbraio dell’anno scorso dalla “FIERA MILANO EDITORE” (del gruppo “Fiera Milano”: sì, proprio quella che in vista dell’EXPO 2015 promette l’assunzione di 69.000 nuovi posti di lavoro!). Senza giusta causa, senza preavviso, senza alcun valido motivo, infischiandosene dell’articolo 18. Oltretutto, lei è stata sostituita nelle sue funzioni da un collega che, pur non essendo grafico, si è dovuto improvvisare in quelle stesse funzioni che, per l’appunto, faceva mia moglie (con risultati qualitativi ovviamente ben diversi). È lampante l’obiettivo dell’azienda: impoverire qualitativamente il reparto grafico, affinché sia poi giustificato commissionare il lavoro esterno a favore degli amici degli amici. Attenzione che, in questo caso, la crisi economica sbandierata è solo un pretesto per coprire manovre non trasparenti, e non voglio aggiungere altro... Ci siamo rivolti alla CGIL di Piazzale Segesta 4, pensando che la vittoria nella causa era dietro l’angolo. Invece, da parte del nostro sindacato (o meglio: dagli avvocati convenzionati con quella sede milanese) è stato preso tutto sottogamba. Sbagliavano di continuo nel riportare le note, che sarebbero poi diventate decisive: con questo comportamento era prevedibile capire come sarebbe andata a finire. Già! Quando si faceva presente agli avvocati (eh sì, al plurale perché si comincia con uno e poi si passa a un altro) il perdurare degli errori mastodontici… beh, loro erano visibilmente infastiditi (soprattutto l’ultimo legale affibbiatoci). La cosa più sconvolgente è che gli avvocati non sapevano neppure quali erano le mansioni di Marika, perché in realtà a loro non interessava minimamente (e perché mai: non erano problemi loro!). Una superficialità disarmante. Da notare che, per l’età anagrafica, secondo la legge a mia moglie – che ha superato i 50 anni – spetterebbero tre anni di mobilità (pari a circa 40.000 euro lordi). Neppure si è ottenuta l’applicazione dell’articolo 18, che comporta 15 mensilità (con tanto di contributi ai fini della pensione), oppure il reintegro nel posto di lavoro e il pagamento – da parte dell’azienda – riferito all’intero periodo che si è rimasti a casa. Invece no. Niente di niente.
    Avremmo dovuto fare la causa singolarmente, ma il sindacato ha optato – sbagliando clamorosamente – per quella collettiva. Il problema, però, è che le altre persone in causa sono partite da una situazione più svantaggiosa. Il risultato è stato che Marika, pur essendo meglio messa, alla fin fine è stata quella che ci ha rimesso più di tutti: la causa collettiva ha svantaggiato chi non era favorito e idem il contrario. Fare causa in gruppo va bene soltanto quando tutti si è nelle stesse condizioni, altrimenti diventa fonte d’ingiustizia. E così siamo arrivati a mercoledì 2 marzo 2011 che, nella sentenza definitiva davanti al Giudice, a mia moglie sono state proposte dieci mensilità forti, cosa che un anno prima avremmo avuto ugualmente senza nessuna difficoltà. Un anno intero per non ottenere un centesimo in più: è ridicolo e offensivo! In confronto con la mobilità (che spetterebbe), c’è un disavanzo di 15.500 euro lordi. Adesso continuo il discorso con il commento successivo, rammentando che proprio oggi (11 marzo) è il compleanno di Marika.

    RispondiElimina
  22. Dario, riprendo il discorso interrotto. In aggiunta a tutto ciò, c’è un’altra beffa. A seguito, infatti, di una legge entrata in vigore all’inizio del 2011 (grazie questa volta al governo Berlusconi), qualora non si accetti la sentenza, il ricorso prevede un tempo variabile dai tre mesi ai tre anni e, nel caso non dovesse essere accettato, oltre a non prendere nulla si devono pure pagare le spese processuali della controparte: questa è una novità, tanto cara agli imprenditori, che ringraziano. Marika è stata quindi costretta ad accettare questa elemosina, per mancanze di alternative da parte del sindacato (?). Fra l’altro, l’ultimo avvocato CGIL ha continuato a sentirsi infastidito dall’indignazione da parte della mia consorte, rilevando l’importanza della “vittoria” ottenuta. Vittoria? Sì, per lui che da buon fannullone non ha fatto niente, ma non certo per noi. E poi, diciamocelo: se un avvocato accetta senza batter ciglio la prima proposta della controparte, che cosa è lì a fare? Vuol dire, semplicemente, che fa quel mestiere in un carrozzone sindacale solo perché altrove non è in grado di fare nulla. Fra l’altro penso che, da parte di chiunque avvocato convenzionato con la CGIL, si esige un maggior rispetto verso chi è sempre stato un fedele tesserato: altro che infastidirsi!
    Il bello è che, sin dall’inizio, la ‘Fiera Milano Editore’ non voleva sollevare alcuna pubblicità negativa sull’episodio e, tuttalpiù, sarebbe stata disposta a trovare una soluzione economica soddisfacente: con dieci mensilità, seppur forti? È questa la ricompensa al silenzio? Al di là del conteggio pignolo di soldi avuti, è l’approccio degli avvocati che ci ha lasciati perplessi: hanno dato l’impressione che si siano venduti, indipendentemente se sia vero o no. Ciò mi fa riflettere e penso che l’ipocrisia sia la peggiore calamità: è un’epidemia, è un cancro che uccide il nostro tessuto sociale… e pertanto vedo solo grosse nubi nere nel nostro futuro.
    La morale di questa storia è: “Oggi, a che cosa servono ancora i sindacati, e in questo caso specifico la CGIL?” Nel 1994 ebbi una grossa batosta dal “SUNIA” (che anche lì facevano tutto facile e ci siamo così trovati senza casa, che ci ha costretti a comprarne di fretta un’altra, quella dove tuttora abitiamo) e ora le buschiamo dal sindacato in cui abbiamo sempre creduto. FINO A IERI, però, oggi non più. Sia ben chiaro che io sono al di fuori di questa storia, lavorando per mia fortuna altrove, tuttavia (essendo direttamente coinvolto a livello familiare) faccio mia questa protesta, per solidarietà verso mia moglie e perché sono stanco di trascorrere l’intera vita a difendermi anche dal fuoco amico. La verità è che la CGIL serve soltanto nelle contrattazioni lavorative (tanto di cappello), ma molto spesso è carente – tranne che in casi sporadici, in particolar modo quando ci sono forti problemi collettivi – nell’affrontare, con il piede giusto, le cause legali. I piccoli casi non fanno per loro, ma in Italia non c’è solo la FIAT… c’è anche altro. Adesso l’unico sindacato con le palle è la FIOM, tutto il resto è né più né meno che “sindacato aziendale” (come del resto anche CISL e UIL).
    Considerato come stanno le cose, la prossima volta, se ci sarà, mi rivolgerò a un vero Studio Legale: forse sarò più tutelato. Ma intanto c’è da campare: Marika ha 53 anni ed è impossibile che trovi un’altra occupazione a tempo indeterminato. Neppure da parte di Piazzale Segesta 4. D’altro canto lavorare in proprio non è per niente facile, perché la concorrenza è tantissima.
    Non voglio essere frainteso, sembrando uno che, vittima dello scoraggiamento, non andrà più a votare. Il “non voto” non c’entra assolutamente nulla con questa faccenda: ho sempre votato e sempre voterò, perché il qualunquismo non mi va giù. Tutt’altra cosa è la difesa del posto di lavoro e della propria dignità, da parte di chi dovrebbe farlo e invece è svogliato… ma non rinuncia a incassare (e bene).
    Dario, ho finito e spero di essere stato esauriente… scusandomi per lo sfogo, ma in questo momento non sono per nulla sereno.

    RispondiElimina
  23. Ho letto “Giramondo libero” e mi è piaciuto. Poi, cliccando su google, ho visto questo blog e ci ho dato una sbirciatina. Bè, doveva essere così, ma poi ho iniziato a guardare e leggere un po’ tutto: compresi i 22 commenti (molto curiosi). Vedo che hai già pronto da stampare il tuo terzo libro e stai cercando uno sponsor. Sei capitato in un brutto periodo, con la crisi che c’è invoglia poco a investire in qualsiasi cosa. Io tuttavia un’idea ce l’avrei: se il tuo obiettivo è semplicemente la pubblicazione e il non profitto, che ne dici di devolvere l’eventuale ricavo della vendita del libro, a una organizzazione umanitaria “no-profit”? Se, invece, t’interessa (anche giustamente) avere un tornaconto economico… bè la cosa diventa più complicata. Pensaci, comunque.
    Elena Dubini

    RispondiElimina
  24. Elena, la tua è un’idea interessante. Il mio principale obiettivo è la pubblicazione del libro e non il suo eventuale ricavo economico. Perciò sono ben lieto di offrire la mia disponibilità per una giusta causa. Resta da stabilire, in ogni caso, come affrontare il costo per la stampa: non voglio guadagnarci, ma neanche perderci… diciamo che punto ad arrivare alla pari. Per quanto mi riguarda, a me basta avere qualche decina di copie e nient’altro. Elena, girala come vuoi ma occorre sempre uno "sponsor", anche se più motivato (per un ritorno d’immagine maggiore) quando si opera per un’associazione “no-profit”. Desidererei mettermi a disposizione per una giusta causa, ma il fatto è che non so né come né a chi rivolgermi (non avendo mai fatto cose simili in precedenza). E poi, non ultimo, bisogna vedere se questo libro sia accettato da qualche Associazione. Lo spero ovviamente, ma, torno a ripetere, non so chi contattare.
    Di solito, quando si tratta di viaggi all’avventura, non m’interessano quelli “sponsorizzati” e ho già spiegato il perché. Insomma, non mi piacciono. Ma stavolta è diverso, stavolta non c’è nessun viaggio avventuroso ma potrebbe essere una causa benefica: ciò mi renderebbe felice, soprattutto se questa iniziativa aiutasse delle persone in gravi difficoltà.
    Curiosa è, infine, la terminologia “no-profit” trovata su internet: dice che un’organizzazione non a scopo di lucro può anche essere indicata con l’espressione mutuata dell’inglese (barbarismo) organizzazione "non-profit", che può essere abbreviata in "no-profit" e "non profit" sottintendendo il termine "organizzazione". A differenza dell’inglese, del francese e dello spagnolo, la lingua italiana non ha elaborato un acronimo.

    RispondiElimina
  25. Giorgio, il come trovare questo blog è stato del tutto casuale (e a quanto pare non sono l’unica tra quelli che ti hanno scritto, dato che qualcuno l’ha anche detto). Ho prima visto “Uno zaino, un sacco a pelo, un viaggio”, incuriosita dal titolo invitante. Il blog era simpatico, cosicché ho provato a entrare in quelli di Maurizio Pasqui e di Lorenzo Franchini (segnalati in quello stesso sito). Poi, alla fine, visto che è segnalato anche il tuo, eccomi in questo.
    Leggendo sia i commenti e sia l’introduzione, noto che sbrighi con poche battute il perché preferisci andartene in giro da solo in luoghi pericolosi o quantomeno non sicuri. Al di là di quanto sostengono i vari Bonatti e Stocchi, tu cosa ne pensi? Sì, l’abbiamo capito tutti che ritieni più bello muoverti da solo, ma siccome la maggioranza delle persone sicuramente la pensa al contrario, ci puoi spiegare la tua scelta?
    Dopodiché ti lancio un’idea. Le domande e le risposte di tutti i commenti qui messi (spero di esserne incluso anch’io) sono piacevoli da leggere, che ne dici di raggrupparli tutti in un apposito blog? Scusa la presunzione, avrei anche un titolo da proporti: “Lettere dal Blog”. Oppure “Domande e risposte – Giorgio Càeran”; o “A domanda, Giorgio Càeran risponde”. Ti piace l’idea? E i titoli?
    Un’ultima domanda: quante amicizie hai su Facebook? Dialoghi con tutti?
    Ciao, Cristina Borghi

    RispondiElimina
  26. Perché ho fatto in solitudine quei viaggi? Perché io non desideravo essere trascinato, ma semmai trascinare. E poi mi piaceva vivere da solo le esperienze in terre nuove, sia quelle positive sia quelle negative; desideravo essere padrone di me stesso: era un bisogno inspiegabile, un piacere che non si voleva dividere con chiunque altro, un bisogno assoluto di non essere condizionato. D’altronde basta osservare il regno animale per accorgersi che mentre i tordi volano a schiere, i rapaci volano solitari. In definitiva, ottimi compagni lungo la strada s’incontrano. In quei momenti sì che è bello dividere delusioni, gioie, sensazioni… poi ciascuno prosegue per la sua meta. L’incontro fra viaggiatori solitari dà un robusto stimolo psicofisico, viceversa un compagno fisso di viaggio è sempre un’incognita che può diventare parecchio spiacevole. Inoltre, l’essere soli in certe circostanze tempra il carattere: si è costretti a provvedere in tutto e per tutto alle proprie esigenze e perfino a vincere la paura. E poi c’è un’altra cosa: la gran voglia di muovermi in maniera indipendente, evitando probabili contrasti sulle decisioni da intraprendere. Io non volevo né essere un generale, né tantomeno un “SignorSì”. A volte, per ogni piccola scelta, si rischia di litigare o quantomeno di perdersi in discussioni sterili. No, meglio evitare.
    Una sera, a Natal, in Brasile, mentre cenavo con tre ragazze svizzere e due viaggiatori francesi mi sono sentito dire che il mio modo di viaggiare non risponde per niente a quello tipico degli italiani: il fatto di andarmene in giro da solo con pochi soldi in tasca, quello di starmene lontano da casa per diversi mesi non è – secondo quelle ragazze e a detta d’altre persone incontrate lungo le strade del mondo – la maniera di fare vacanza preferita dagli italiani che, al contrario, cercano i comfort e vogliono stare in gruppo con propri connazionali, accontentandosi d’escursioni brevi e costose; ma ogni “regola” ha le sue eccezioni.
    Di certo adesso, dopo avermi preso delle belle soddisfazioni, non sono più del tutto rigido sul concetto del “viaggiare da solo”. Ti faccio un esempio: c’è un mio amico (che si chiama Giuseppe Vallata, ed è di Àlleghe) che anche lui è un appassionato di viaggi, seppur diversi dai miei, in quanto Giuseppe va sempre spedito e si ferma pochissimo nei luoghi visti. Tuttavia, nel giugno 2005, con una “Mercedes 2000” era andato fino a Ulan-Bator, la capitale della Mongolia, passando per Lituania, Lettonia e Mosca; coprendo in totale ventimila chilometri. Adesso Vallata sta valutando di andare, sempre con la stessa Mercedes, in Giappone percorrendo la transiberiana e imbarcarsi poi a Vladivostok, facendo anche il ritorno via terra: mi vuole coinvolgere in questo viaggio. A questo punto potrebbe accadere di tutto: di per sé non gradisco mai i programmi già definiti da altri, anche se l’itinerario m’incuriosisce ed era una mia vecchia idea (Giappone a parte). Se, però, potrò dire la mia e avrò la possibilità di alternarmi equamente alla guida – e avrò tempo a disposizione –, potrei tenere in considerazione la ghiotta offerta, sacrificando la mia “regola” del viaggiare. Ma non subito.
    Ti do un’altra curiosità di Giuseppe Vallata: nel giugno 1994 percorse, su un’“Alfa 75-1600 IE”, trentaquattro passi dolomitici in ventidue ore e mezzo… roba da guinness dei primati. Se t’interessa la sua cronaca dettagliata, te la posso inviare via e-mail. Pensa, noi due ci siamo conosciuti a causa del mio primo libro: dopo che lui l’ha letto, si è fatto vivo… e da allora sono già trascorsi venticinque anni.
    Riguardo a Facebook, adesso ho 861 amicizie (con moltissimi “Vespa Club”), delle quali solo con una quarantina comunico con una certa frequenza. Con gli altri, invece, molto di raro. Ma ciò è normale.
    Ti ringrazio, infine, per il tuo suggerimento di dar vita a un Blog basato su tutti i commenti. Forse, se non cambio idea, lo farò e penso di accettare uno dei titoli da te proposti: “A domanda, Giorgio Càeran risponde”. Sai che ho aperto un gruppo su FB, dal titolo “SULLE VIE DEL MONDO”?

    RispondiElimina